Libreria Libri e giochi – Besana Brianza

Che bello!

Di: Antonella Capetti, Melissa Castrillon

Edito da: TopiPittori

Un bruco, una mano, un incontro, un complimento – come sei bello! – da cui nasce una domanda che serpeggia per tutta la narrazione: <<Cosa vuol dire bello?>>.
Una domanda potente, filosofica, di una semplicità quasi imbarazzante come quelle che fanno i bambini quando meno te lo aspetti. Una domanda che presuppone una ricerca di senso e di significato. Il bruco allora inizia la sua ricerca, solo come un bruco può e sa fare, ovvero chiedendo ad altri animali spiegazioni, pareri, delucidazioni. Per l’orso non ci sono dubbi: bello è il favo che tiene tra le zampe, ma la cornacchia, a cui è affidata la spiegazione del significato etimologico del termine e del contesto in cui viene usato, lo corregge ed esclama <<quello non è bello, è buono …>>. Bruco rivolge la domanda anche agli scoiattoli e per loro ‘bello’ è rotolarsi e nascondersi in un mucchio di foglie secche, ma ancora la cornacchia interviene precisando che <<quello non è bello, ma solo divertente>>. La domanda viene rivolta anche al topo, che risponde indicando il grosso fungo rosso a punti bianchi sotto cui si è rifugiato per ripararsi dalla pioggia, ma la cornacchia puntualizza che <<quello non è bello, bensì utile>>. 

La mente del bruco intanto è sempre più invasa da pensieri, domande, preoccupazioni che lo sollecitano a non darsi pace finché non avrà una risposta certa alla sua grande domanda. La ricerca continua e il concetto di ‘bello’ per il cervo sdraiato comodamente sul divano è il suo stesso stato, ma la cornacchia specifica che quello è comodo ma certo non bello. Il bruco ormai stanco vorrebbe togliersi di torno la cornacchia, ma soprattutto togliersi dalla testa quella domanda fastidiosa. <<Purtroppo c’é un solo modo per farlo: continuare a chiedere, sperando che qualcuno conosca la risposta>>. E’ la volta della talpa, per la quale “bello” è il cunicolo da cui si affaccia, ma la cornacchia precisa ancora un volta che il sottosuolo è certo caldo e riparato ma non bello.  Sempre più avvilito il bruco si trascina, quando la cornacchia intravede una lattina vuota sulla quale si avventa urlando <<Quello è bello!>>. Tutti gli animali la prendono in giro sottolineando che quella non è bella ma luccicante!>>. Anche la cornacchia saputella, precisina, sempre pronta a puntualizzare, ritratta con sguardo imbronciato, malfidente e scrutatore, incapace di empatizzare con i diversi personaggi, cade nel tranello, ed anch’essa si trova nell’impossibilità di definire il bello!
Siamo alla fine della narrazione e il nostro povero bruco non ha ancora trovato una risposta univoca e definitiva alla sua grande domanda, che resta aperta e offre al lettore la possibilità di fermarsi, di riflettere, di pensare, regalandoci un’occasione imperdibile di farci delle domande, quelle grandi e profonde che aggiungono al  quotidiano ricerca di senso e di significato. Dunque il bello cos’è? La risposta è senz’altro soggettiva, ciascuno ha la propria visione del bello e  i grandi filosofi lungo il corso della storia lo hanno affermato e ribadito più volte, parlando di categorie e di concetti estetici. Il bello è declinabile sulla base dell’esperienza personale, del proprio sentire; il bello è un concetto fondato nei sensi e chi lo vive si sente appagato, raggiunge la quiete e l’armonia, la piena soddisfazione. La storia, inoltre, ci offre l’opportunità di riflettere sull’uso del termine “bello” che spesso significa anche altro, come buono, comodo, caldo … e ci dimostra quanto una situazione vissuta con piacere e benessere sia percepita e definita come “bella”. La storia è arricchito dalle  illustrazioni di Melissa Castrillon, che usa la serigrafia e colori forti, saturi, invadenti, avvolgenti, spalmati sulle pagine lasciando poco spazio al bianco vuoto. Le illustrazioni creano un’atmosfera onirica, incantata, sospesa. Infine, Il testo è in stampato maiuscolo, la scelta è forse un invito a proporre il libro ai bimbi che si apprestano alla lettura autonoma, dai 5/6 anni.
Un gustosissimo brano di Voltaire tratto da Dizionario filosofico a proposito della relatività del concetto di bellezza e dell’impossibilità di definire il bello in sé.
BELLO, BELLEZZA. Chiedete a un rospo cos’è la bellezza, il bello assoluto, il to kalòn. Vi risponderà che è la sua femmina, con i suoi due grossi occhi rotondi sporgenti dalla piccola testa, la gola larga e piatta, il ventre giallo, il dorso bruno. Interrogate un negro della Guinea: il bello è per lui una pelle nera, oleosa, gli occhi infossati, il naso schiacciato. Interrogate il diavolo: vi dirà che la bellezza è un paio di corna, quattro artigli e una coda. Consultate infine i filosofi: vi risponderanno con argomenti senza capo né coda; han bisogno di qualcosa conforme all’archetipo del bello in sé, al to kalòn.  Assistevo un giorno a una tragedia, seduto accanto a un filosofo. « Quant’è bella! », diceva. « Cosa ci trovate di bello? » domandai. « Il fatto, » rispose, « che l’autore ha raggiunto il suo scopo ». L’indomani egli prese una medicina che gli fece bene. « Essa ha raggiunto il suo scopo, » gli dissi, « ecco una bella medicina! » Capì che non si può dire che una medicina è bella e che per attribuire a qualcosa il carattere della bellezza bisogna che susciti in noi ammirazione e piacere. Convenne che quella tragedia gli aveva ispirato questi due sentimenti e che in ciò stava il to kalòn, il bello.  Facemmo un viaggio in Inghilterra: vi si rappresentava la stessa tragedia, perfettamente tradotta, ma qua faceva sbadigliare gli spettatori. « Oh! Oh! » disse, « il to kalòn non è lo stesso per gli inglesi e per i francesi ». Concluse, dopo molte riflessioni, che il bello è assai relativo, così come quel che è decente in Giappone è indecente a Roma e quel che è di moda a Parigi non lo è a Pechino; e così si risparmiò la pena di comporre un lungo trattato sul bello.